I DATI PEGGIORI DAL 2008

Assinform, a picco l’Ict italiano: -4,4% in un solo anno

La fotografia 2013 scattata da Assinform mostra un comparto in grande sofferenza: è la performance peggiore dal 2008. E il gap con l’Europa sale a 25 miliardi. Ma ora la curva dovrebbe tornare a invertirsi grazie alla spinta dei segmenti più innovativi del digitale. Determinante il ruolo della politica. Catania: “Bisogna passare dall’agenda all’attuazione delle iniziative e potenziare le partnership pubblico-privato per valorizzare gli investimenti”

02 Apr 2014

Domenico Aliperto

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Non è tanto il dato secco a far male: il -4,4% che ha fatto segnare nel 2013 il mercato italiano del digitale (per un valore di 65.162 milioni di euro ) è l’amara continuazione del trend che aveva già visto il 2012 contrarsi dell’1,8% rispetto al 2011. La questione più drammatica è che mentre noi perdiamo il 4,4%, il resto del mondo si muove della stessa misura, ma in direzione opposta: il valore globale di 4.379 miliardi di dollari delle nuove tecnologie corrisponde a un balzo del 3,8% rispetto all’anno scorso. E se il Vecchio continente, nel complesso, ha perso lo 0.9%, i mercati con cui – in teoria – dovremmo confrontarci (vale a dire Germania Francia e Uk) sono cresciuti dello 0,8%. Dato però che va contestualizzato nelle dinamiche di Paesi che hanno già effettuato enormi investimenti nell’Ict e che ruotano intorno ad economie ben più digitalizzate della nostra. In ogni caso, il gap tra gli investimenti italiani e quelli della media europea cresce ancora e ammonta a circa 25 miliardi di euro. Sono queste le primissime considerazioni emerse stamattina a Milano durante la presentazione dell’anteprima del Rapporto Assinform 2014, introdotto e commentato da Elio Catania, presidente Assinform uscente e da ieri numero uno di Confindustria digitale, e Giancarlo Capitani, presidente NetConsulting.

A pesare sul nostro mercato, oltre alla drastica contrazione dei servizi di rete Tlc (con un calo del 10,2%, a 24.940 milioni di euro, rappresentano la variazione negativa più consistente) c’è certamente la crisi che attanaglia la Penisola da ormai quattro anni: la ricetta italica alla drastica riduzione di risorse è come noto la spending review, quando invece un modello basato su crescita e sviluppo avrebbe più chance di capovolgere la situazione. “È ormai ampiamente dimostrato che la spesa in innovazione aumentano la competitività che a sua volta impatta positivamente sulla produttività. Basti pensare che negli Stati Uniti gli investimenti in Ict contribuiscono per il 50% alla crescita del Pil, in Italia ci attestiamo intorno al 20%”. Ma la debacle, fanno notare Catania e Capitani, è anche dovuta al lunghissimo momento di transizione che l’Italia, specialmente sul fronte dell’impresa, sta vivendo rispetto all’adozione delle nuove tecnologie, con tutte le fratture che questo comporta nell’adozione di hardware, software e modelli di business di ultima generazione.

Analizzando le performance del mercato italiano settore per settore, si scopre infatti che l’Ict non sta vivendo un momento di stasi, ma piuttosto una trasformazione eterogenea, quando servirebbe invece un’evoluzione dell’intero apparato. Dati alla mano, i dispositivi e i sistemi hanno generato nel 2013 un business di 16. 889 milioni di euro (-2,3% sul 2012), i software e le soluzioni Ict hanno raggiunto quota 5.475 milioni (+ 2,7%), i servizi Ict si cono contratti a 10.245 milioni (-2,7%), mentre i contenuti digitali e la pubblicità digitale (la rapidissima evoluzione, dicono ad Assinform, rende sempre più complesso il compito di inserirli in categorie precise) hanno fatto registrare la performance migliore (7.613 milioni di euro), con una crescita del 5,6%.

All’interno di ogni macro-area si leggono fenomeni che corrono in direzioni opposte: se per esempio tra i dispositivi e sistemi, i personal e mobile device hanno registrato per la prima volta un rallentamento (-0,9% a 5.902 milioni), determinato principalmente dalla telefonia cellulare e dall’andamento dei Pc notebook (-18,7% in volumi, a 3,1 milioni di unità), l’incremento delle vendite di smartphone (+43% a 12,3 milioni) e tablet (+65,7%, a 3,4 milioni di pezzi) è stato enorme. E non ha compensato le perdite sugli altri fronti per effetto di una riduzione dei prezzi. Sul piano dei servizi Ict, calati come detto del 2,7%, il Cloud ha conosciuto un aumento del 32,2% a 753,3 milioni in entrambe le sue tipologie, “public” (e cioè con risorse condivise, a 380 milioni, +46,2%) e “private” (a 373,3 milioni, +20,6%)e con una composizione complessiva che vede primeggiare le componenti infrastrutturali (Iaas, 35,8%) e applicative (37,2%).

D’altra parte il forte calo subito dai Servizi Tlc di rete, deriva sia dalla drastica riduzione delle tariffe, sia dal calo oramai fisiologico dei servizi Voce e soprattutto Sms, sostituiti sempre più spesso dalla trasmissione dati e dalla pletora di app dedicate alla messaggistica. E, di conseguenza, i servizi a valore aggiunto mobili sono cresciuti del 25,1% (1.120 milioni), spinti dalla diffusione di tablet e smartphone.

“Cosa significa tutto ciò? Significa che l’Italia sta cambiando, ma a pezzi, in modo non sistemico e senza vivere una transizione dolce. Rispetto ad altri Paesi siamo indietro sulla qualità dell’utilizzo degli strumenti digitali, più che sulla loro adozione”, ha detto Giancarlo Capitani. “Assistiamo a una digitalizzazione più dinamica sul lato consumer, con la crescita di utenti Internet a banda larga (+2,5%) e con l’esplosione delle linee mobile broadband (+46,2%), mentre sul fronte aziendale crisi è sinonimo di riduzione della spesa”. Ma per le imprese la strada è in salita anche rispetto a un altro tema: stando a quanto è emerso dal rapporto, il nuovo ostacolo che si profila all’orizzonte è quello del cambiamento di modello di business per tutti i fornitori di applicativi. “Con la crescita del Cloud e del software as a service, la vendita di licenze avrà sempre meno spazio in favore dei servizi erogati in logica pay per view. Da questo punto di vista occorre che anche i partner dei grandi produttori comincino ad adeguarsi”.

Ora che la fotografia è stata scattata e che cause e conseguenze sono piuttosto chiare, bisogna decidere quale sarà il prossimo fotogramma dell’Italia digitale. Catania è ottimista: “Nel nostro paese esistono casi di eccellenza, sia nel pubblico sia nel privato. Penso al fisco, alla previdenza sociale, ad alcuni comuni virtuosi, così come a quelle imprese che grazie alla loro capacità di innovare sono diventate leader a livello mondiale nei propri mercati di riferimento. Sono inoltre soddisfatto delle azioni intraprese dagli ultimi tre governi e dell’istituzione dell’Agenda digitale. Ora però bisogna passare dall’Agenda all’Attuazione e potenziare il partenariato pubblico-privato anche nell’ottica di valorizzare l’utilizzo degli investimenti infrastrutturali”.

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